Nina e il tappeto che sbagliava strada

Nina era una dalmata ordinata. Macchie ben distribuite, due palline rosse sempre al loro posto, una ciotola che brillava come uno specchio e tre ossi nascosti in giardino, sotto l’albicocco. Tutto era al suo posto. Tranne una cosa.

Il tappeto dell’ingresso. Quello a righe storte e un po’ arricciato ai bordi. Un tempo restava fermo come un bravo tappeto. Ma da qualche giorno… si muoveva.

Una mattina Nina lo trovò in corridoio, arrotolato come un serpente addormentato. Il giorno dopo, sotto il tavolo. E una volta perfino in giardino, vicino alla cuccia di Skye.

«Sei tu che lo sposti?» chiese a Skye.

Skye sbadigliò e rispose: «Io sposto solo ciò che profuma di biscotto.»

Nina decise di indagare. Quella sera si finse addormentata e lasciò la porta socchiusa. Mezzanotte. Silenzio. Poi… sgrishh sgrishh sgrishh. Il tappeto si mosse. Lentamente, verso l’uscita.

Nina lo seguì in punta di zampa. Il tappeto passò tra i cespugli, scese dal marciapiede, girò l’angolo… e si fermò sotto il lampione. Lì, c’erano altri tappeti. Colorati, lunghi, a quadretti o con i disegnini dei gattini. Si stavano allenando. Sì, proprio così.

Un tappeto giallo faceva stretching. Uno verde faceva le capriole. E il suo — il suo tappeto stropicciato a righe — stava imparando a volare.

Nina si mise seduta in silenzio, a osservare. Il suo tappeto, vedendola, si fermò a mezz’aria, come per dire: «Scusa, ma io sogno in grande.»

Nina sorrise. Tornò a casa da sola, lasciando la porta aperta.

La mattina dopo, il tappeto era di nuovo lì. Un po’ stanco, ma felice. E Nina, da quel giorno, non lo spostò più.

Perché certi sogni — anche se hanno la forma sbagliata — non vanno mai raddrizzati.



 

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