Il giorno in cui ho creduto di essere un cane preistorico

Appena sceso dall’auto, ho avuto la sensazione di trovarmi in un film ambientato qualche centinaio di milioni di anni fa, nel Giurassico, ma senza dinosauri (per fortuna). Al massimo qualche Bruna Alpina, dallo sguardo soddisfatto e felice, come solo le mucche di malga sanno avere.

Davanti a me solo montagne imponenti, torrenti che cantavano e massi sparsi dappertutto come se un gigante li avesse lanciati per noia.

Già lungo la strada, poco prima di arrivare, avevo notato un enorme masso solitario. Il mio umano ha detto che si chiama Sasso Remenno, il più grande monolite d’Europa.

Io l’ho osservato dal finestrino e ho pensato che sembrava un guardiano antico, uno di quelli che non parlano mai ma ti fanno capire subito che stai entrando in un luogo importante.

Profumava di roccia e di tempo, anche solo a guardarlo da lontano.

Il mio umano ha parlato di “morfologia glacial-something”. Io ho finto di capire, ma la verità è che mi bastava guardarmi intorno: ovunque posassi il naso, sentivo odore di roccia antica, di acqua fredda e di vento nuovo.

Il sentiero era un continuo sali e scendi tra i massi. Ogni tanto mi fermavo a controllare se qualche lucertola avesse voglia di fare amicizia, ma loro — sfuggenti come pensieri — sparivano appena mi avvicinavo.

Gli umani invece si fermavano ogni cinque passi a fotografare qualcosa. “Guarda che luce!”, dicevano. Io guardavo, ma vedevo soprattutto il mio riflesso nell’acqua del torrente: un cane coraggioso con il muso umido e la coda felice.

Abbiamo incontrato molti escursionisti, tutti con bastoncini e zaini più grandi di loro. Alcuni erano appesi alle pareti di roccia come gechi giganti. Pare che qui la gente venga a “scalare”.

Io li ammiro, davvero. Ma se devo scegliere, preferisco scalare un piatto di polenta taragna, che almeno non scivola.

Più avanti il sentiero seguiva il torrente. L’acqua era così limpida che si potevano contare i sassi sul fondo. Ne ho assaggiata un po’: fredda, frizzante, perfetta. Mi è sembrato di bere un pezzo di cielo.

Ogni tanto mi arrivavano profumi di cucina da qualche baita: pizzoccheri, polenta taragna, burro fuso. Ho cercato di spiegare al mio umano che una pausa gastronomica sarebbe stata coerente con lo spirito del viaggio, ma lui ha fatto finta di non capire. Umani: sempre con la testa tra le nuvole e lo stomaco distratto.

Alla fine della valle abbiamo trovato una cascata. Non una qualsiasi: una che scivola giù liscia come uno scivolo da acquapark.

Mi sono avvicinato curioso, con le zampe nell’acqua, e ho pensato che se esiste un paradiso per i cani che amano i torrenti, deve assomigliare a questo.

Il mio umano si è seduto su un sasso e ha detto: “Che energia, eh?”.

Io ho risposto con un abbaio e mi sono sdraiato accanto a lui, lasciando che le gocce mi bagnassero il muso.

Era come se tutta la valle respirasse. Ogni suono, ogni profumo, ogni raggio di sole aveva un suo ritmo.

E per un attimo ho sentito di appartenere a qualcosa di molto più grande: la roccia, l’acqua, il vento… e persino il mio umano, che finalmente aveva smesso di parlare.

Siamo rimasti lì a lungo, senza fretta.

Poi lui ha tirato fuori un panino, io ho fatto finta di non guardare, e come sempre ne ho ottenuto metà.

E mentre masticavo, mi è tornato in mente quel documentario sulle api: diceva che anche per loro il profumo dei fiori cambia a seconda dell’aria che respirano, per via dell’ossigeno, dell’azoto e di altre cose complicate che sanno solo gli scienziati.

Forse è la stessa cosa per noi — o forse, semplicemente, il cervello sente i sapori in modo diverso quando è felice.

Quel panino, lì, con l’odore del torrente e il rumore delle cascate, sapeva di casa e di libertà. Altro che panino gourmet di città.

Quando siamo tornati indietro, il sole era già basso e la valle aveva il colore del miele.

Mi sono voltato un’ultima volta e ho pensato che sì, se davvero una volta c’erano i dinosauri, anche loro qui dovevano stare bene.

Magari anche loro si sdraiavano sull’erba ad ascoltare il rumore dell’acqua, come due vecchi amici che non hanno più bisogno di parlarsi.

E mentre ci allontanavamo, ho sentito l’odore del torrente restarmi nel naso.

Un profumo di libertà, di pietra e di tempo.

Il profumo di una valle che non ha fretta di finire.

 

 

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