Una valle da annusare: weekend in Valle Varaita

Ci sono posti che non devi capire: ti basta annusarli. La Valle Varaita è uno di quelli.

Quando siamo arrivati, il mio umano ha detto la solita frase da umano in montagna: “Che aria pulita!”.

Io invece avevo già raccolto tutto il resto: il larice umido, la legna dei camini, un accenno di formaggio fuso che veniva da qualche baita coraggiosa che aveva già acceso la cucina.

E ho capito che sarebbe stato un weekend importante, uno di quelli in cui il naso lavora ma il cuore riposa.

Il nostro rifugio era in un piccolo borgo dove il silenzio non pesa: semplicemente c’è. Ogni tanto passava una macchina, ogni tanto un trattore, ma la regola era semplice: il suono più forte era la mia coda che batteva sull’aria quando vedevo qualcosa di interessante.

E qui di cose interessanti ce ne sono tante: ponti in pietra, mulattiere, casette di legno che sembrano uscite da una fiaba un po’ ruvida e un po’ dolce.

Il primo sentiero lo abbiamo imboccato senza parlare. Lui guardava le montagne, io camminavo avanti, facendo finta di sapere già la strada. Il bosco era fresco, morbido sotto le zampe. Ogni tanto arrivava una folata di profumo di funghi, di quelli veri, che crescono solo dove i boschi si fidano.

È uno di quei posti in cui il naso lavora da professionista.

E ho pensato che qui i cani potrebbero vivere bene: c’è spazio, ci sono storie nell’aria e nessuno ti chiede di essere diverso da quello che sei.

Poi è arrivato il momento preferito del mio umano… quello dell’esperienza mistica: il pranzo al rifugio.

Il mio, invece, è stato il momento degli odori.

Perché quando entri in un rifugio della Valle Varaita, il mondo cambia: diventa più caldo, più denso e più buono.

C’erano gnocchi alla fonduta, polenta che profumava di montagna vera, spezzatini che parlavano il linguaggio delle domeniche lente.

Io, ovviamente, mi sono seduto con l’espressione più composta possibile, quella che dice:

“Io non sto chiedendo nulla, sto solo osservando con educazione professionale.”

Questa volta ha funzionato meglio del previsto: il rifugista mi ha portato una ciotola tutta mia, con un pezzetto di polenta morbida e due bocconcini di carne strepitosi, profumati come solo la montagna sa fare, accompagnati da una carezza sulla testa.

Vacanza per lui, certo.

Ma anche per me.

Nel pomeriggio siamo risaliti verso un punto panoramico. Il vento portava storie lontane: magari di camosci, magari di altri cani, magari di umani innamorati della valle. Non lo so. Ma era un vento che sapeva ascoltare.

Ci siamo fermati a guardare le montagne, quelle chiare, con i profili appuntiti che sembrano sempre sul punto di raccontarti qualcosa.

Il mio umano ha fatto qualche foto. Io invece ho fatto quello che fanno i cani quando sono felici: mi sono sdraiato accanto a lui, senza un motivo preciso, solo perché così era giusto.

La sera siamo tornati in paese. Le luci erano poche, il cielo tantissimo.

E mentre camminavamo verso casa, ho pensato che ogni valle ha un modo diverso di parlarti.

La Valle Varaita ti parla piano, come una storia sussurrata vicino al fuoco.

E tu, se ascolti bene, capisci che non è solo un viaggio: è un modo di stare insieme.

Io e il mio umano, uno accanto all’altro, al ritmo dei nostri passi.

A volte il mondo è semplice. Basta andare dove tutto profuma di larici e burro caldo.

 

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