Mi chiamo Piuma. Peso quattro chili, ma ho l’autostima di un San Bernardo. E oggi vi racconto quella volta in cui mi hanno portata a camminare sulla Ciclovia delle Dolomiti, da Dobbiaco a Cortina. O almeno… questa era l’intenzione. Poi, come al solito, sono stata io a decidere dove ci si fermava.
Partiamo dall’inizio. Sveglia presto (troppo presto). Zaino, borraccia, snack e via in auto. L’umano al volante aveva quell’espressione da “giornata rigenerante nella natura”. Io, invece, avevo solo una domanda in testa: “Ma ci sarà almeno un prato decente dove rotolarsi?”
La risposta è sì. E non uno: decine. Perché questo percorso è un ex tracciato ferroviario che taglia in due un paesaggio da cartolina – ma di quelle stampate bene, non da souvenir.
Si cammina su una striscia di ghiaia ordinata che attraversa boschi silenziosi, prati aperti e qualche galleria che fa il suo effetto. Quando ci siamo entrati la prima volta, l’umano ha detto: “Guarda che luce suggestiva!”. Io ho pensato: “Sì, sì… ma senti che odore di volpe. Roba seria”.
A ogni curva c’era un nuovo odore, un nuovo suono, una nuova scusa per fermarmi. Ho fatto amicizia con un pastore australiano in bici (lui viaggiava nel carrellino… nobiltà decaduta, evidentemente), ho salutato una comitiva di umani con bastoncini telescopici e zero coordinazione, e ho dato il mio contributo ad almeno cinque cespugli. Ognuno ha il suo modo di marcare il territorio.
Il tratto fino a Ospitale è stato il mio preferito. Il nome già dice tutto: Ospitale. Sembrava una promessa. E infatti c’era acqua fresca, silenzio vero, e un tavolino perfetto per la mia pausa meritata. L’umano si è fatto un panino al formaggio di malga, io ho ricevuto un pezzetto di mela. Lo so, non è equo, ma faccio finta che vada bene.
A un certo punto abbiamo incontrato una mucca. Gigante. Mi ha guardata con quell’aria da “Non ti ho mai vista, ma so già che mi giudichi”. Aveva ragione. Io le ho restituito lo sguardo e ci siamo capite: vive e lascia vivere, finché non invadi la mia cuccia.
Abbiamo proseguito ancora un po’, ma poi ho deciso che era abbastanza. Il sole era perfetto, l’erba era perfetta, la stanchezza… anche quella, perfetta. Mi sono seduta. L’umano ha capito. A volte ci vuole solo uno sguardo e tutto si allinea.
Siamo tornati indietro a passo lento. Io ero fiera. Avevo camminato per chilometri, osservato le Dolomiti, ignorato un numero discreto di scoiattoli e fatto la mia parte nella manutenzione dei profumi locali.
Quando siamo risaliti in macchina, ho chiuso gli occhi. Non dormivo: stavo rielaborando. Le esperienze vanno assaporate anche dopo, no? La Ciclovia delle Dolomiti è una rotta da annusare, da camminare piano, da tenere da parte per i giorni in cui serve un po’ di silenzio vero.
E sì, anche per quelli in cui si vuole far finta di essere una guida alpina in miniatura.
Funziona sempre.