Sotto il profumo dei larici: un weekend a Madonna di Campiglio

Ci sono weekend che iniziano ancora prima di partire. Il mio umano aveva quella luce negli occhi — quella che spunta quando ha bisogno di respirare un po’ di natura, e io, da cane di fiducia, lo capisco subito. Così, quando ho sentito pronunciare “Madonna di Campiglio”, ho iniziato a scodinzolare senza neanche fingere indifferenza.

È un nome lungo, elegante, che sa di boschi e sentieri veri. E poi, diciamolo: se c’è un posto dove noi cani possiamo sentirci nel nostro regno, è proprio in montagna.

Siamo arrivati nel pomeriggio di venerdì. L’aria aveva quella freschezza che non punge ma sveglia. Madonna di Campiglio ci ha accolti con il suo centro ordinato, i balconi di legno, il profumo di strudel che ogni tanto usciva da qualche bar — e con quella calma che solo i luoghi pieni di natura sanno avere anche quando c’è gente in giro. Io annusavo qua e là: odore di legno asciutto, neve vecchia nelle zone d’ombra, qualche traccia di altri cani viaggiatori. Ottimo inizio.

Il sabato mattina siamo partiti presto per il Lago Nambino. Dal parcheggio di Patascoss il sentiero entra nel bosco come una promessa: larici alti, silenzi morbidi, terreno soffice per le mie zampe. L’umano ascoltava i suoi pensieri, io invece ascoltavo il terreno: la montagna parla, eh, basta abbassare il muso e ti racconta tutto. Tracce di caprioli, qualche volpe mattiniera e — orgoglio personale — una pigna appena rosicchiata da uno scoiattolo.

La salita è breve, e all’improvviso il bosco si apre ed eccolo lì: il Lago Nambino. Calmo, verde scuro, con le montagne che fanno da cornice come in un album fotografico. L’umano si ferma, spalanca gli occhi. Io mi avvicino all’acqua, annuso le onde piccole. Il rifugio è lì a pochi metri: legno caldo, finestre luminose, profumo di polenta che ti fa venire voglia di restare tutto il giorno. Abbiamo fatto una pausa, lui con la tazza calda tra le mani, io steso ai suoi piedi, perfettamente appagato.

Nel pomeriggio, invece, abbiamo cambiato ritmo. Siamo saliti in cabinovia verso il Monte Spinale. Io non sono un fan sfegatato delle cabinovie, lo ammetto, ma ho scoperto che se guardo l’umano invece del pavimento sospeso, mi passa tutto. Arrivati su, lo spettacolo era uno di quelli che fanno zittire anche noi cani più loquaci: davanti il Brenta, dietro le cime dell’Adamello, intorno prati larghi pieni di odori. Abbiamo raggiunto Malga Fevri camminando piano, lui fotografava, io facevo la mia ispezione olfattiva ufficiale. I prati lassù hanno un odore diverso: più pulito, più ampio, come se il vento facesse ordine.

La sera, rientrati in paese, abbiamo girato tra i vicoli illuminati e negozietti di montagna. C’era un’atmosfera quasi da set cinematografico: voci basse, luci calde, profumo di legno bagnato e cibo buono che usciva dai ristoranti. L’umano era felice, io pure: in fondo, non serve molto di più.

La domenica è stata la giornata “da veri esploratori”. Non abbiamo fatto tutto il Giro dei Cinque Laghi — non sono un cane maratoneta — ma ne abbiamo percorso una parte, quella che ci portava verso il Lago Ritorto. Panorama mozzafiato, sentiero ampio, e un cielo che sembrava dipinto a mano. Quando siamo arrivati al lago, era come trovarsi davanti a una cartolina che respira: acqua limpida, cime riflesse e silenzio vero, quello che si sente più nelle zampe che nelle orecchie.

Nel pomeriggio abbiamo proseguito verso Vallesinella per vedere le cascate. Qui la montagna cambia musica: il bosco diventa umido, l’odore si fa più intenso, la voce dell’acqua accompagna ogni passo. Le cascate sono uno spettacolo: spruzzi leggeri, ponticelli di legno, tronchi muschiati. Per me è stato come entrare in un nuovo mondo. Il mio umano, ogni tanto, sorrideva senza dire niente. È il suo modo per dire “sto bene”.

Quando siamo tornati verso Madonna di Campiglio, il sole era già basso e le cime si coloravano di arancione. Io camminavo piano, vicino alla sua gamba. È stato uno di quei momenti in cui capisci che non serve fare qualcosa di speciale: basta condividere un sentiero.

E così, il nostro weekend è finito con quella sensazione bella e semplice che ti rimane quando vivi due giorni pieni ma senza fretta.

Campiglio ci ha accolti con la sua eleganza naturale, i suoi boschi profondi e quei piccoli dettagli che un cane nota subito: i rumori lontani, le tracce sulla terra, gli odori che raccontano la storia di un luogo.

E mentre risalivo in auto, ho pensato che sì: posti così dovrebbero essere prescritti dal veterinario. Per il cuore, per il fiato, per il legame con il mio umano. E per chi, come me, vive annusando il mondo.

 

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