Tra cipressi e finocchiona: il mio naso in Val d’Orcia

L’umana aveva detto “Toscana” con quell’aria da promessa, e io avevo già immaginato prati infiniti e panini da rubare al volo. Avete presente quelli con la finocchiona che profuma di anice e il pecorino morbido che si scioglie piano? Ecco, proprio quelli. Solo a pensarci mi è venuta quella fame che fa scodinzolare il naso.

La strada verso la Val d’Orcia è come essere in viaggio nella scenografia di un film: colline che si gonfiano e si abbassano come onde lente, cipressi ordinati come soldati gentili, e un cielo che sembra dipinto con il pennello grande. Il finestrino era tutto mio, e ogni curva era un nuovo capitolo: odore di fieno, un soffio di lavanda, poi d’improvviso il profumo di qualche prosciutto appeso in un portico.

La prima sosta è stata a Pienza. Un borgo così bello che quasi ti senti in dovere di camminare con più grazia. Vicoli stretti, balconi pieni di gerani e botteghe che sembrano scrigni. Lì l’aria è un misto di pietra calda e di pecorino in tutte le sue forme: fresco, stagionato, al tartufo. L’umana mi spiegava le differenze con tono da guida turistica, io annuivo senza interromperla… finché davanti a una salumeria ho visto il panino alla finocchiona. L’ho fissato con la mia espressione “seduto compostissimo e sguardo da orfano della fame”. Ha funzionato a metà: il panino l’ha preso lei, a me è arrivata la crosta di pane. Ho ringhiottito la delusione insieme alle briciole.

Dopo Pienza abbiamo preso il sentiero che porta verso Bagno Vignoni, un filo di terra tra campi dorati dove il vento ti racconta storie di grano maturo e acqua sulfurea. L’umana dice che quell’odore sembra uovo sodo; io direi “nuvola calda con carattere”. Alla grande vasca termale lei si è messa a fare foto, io ho trovato un cespuglio che era praticamente l’edizione locale del giornale per cani: titoli, annunci, forse anche un cruciverba.

Prima di tornare verso l’auto, l’umana ha deciso di “fare una piccola deviazione”. Piccola, sì… come la distanza tra il divano e la Luna. Ci siamo ritrovati su un sentiero sterrato che serpeggiava tra vigneti e oliveti. Ogni filare aveva il suo profumo: l’uva dolce e un po’ appiccicosa, le foglie di olivo che frusciavano piano, e ogni tanto il vento portava il richiamo di una griglia accesa. Ho cercato di convincere l’umana che sarebbe stato un gesto di civiltà fermarsi a salutare chi stava cuocendo quelle salsicce. Lei ha sorriso, io ho registrato il punto preciso su cui tornare, magari da solo, in un’altra vita.

La sera ci ha trovati su una panchina in mezzo ai cipressi. L’umana sorseggiava un rosso toscano, io tenevo d’occhio due piccioni che sembravano avere loschi progetti. Il sole diventava arancio, le campane suonavano lontane e l’aria sapeva di legna e pane appena sfornato. In quel momento ho capito che la Val d’Orcia non è solo bella da vedere: è un posto dove il naso, il cuore e lo stomaco vanno d’accordo.

 

 

 

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