Quando siamo arrivati in Val di Funes, l’aria profumava di erba tagliata e di fieno al sole. Io ho tirato su il naso — sì, quello mio, nero e affidabile — e ho capito subito che qui la montagna ha un odore più sincero del solito. Di quelli che ti restano attaccati al pelo, come un ricordo buono.
Il mio umano, come sempre, ha iniziato con le solite foto: montagne, baite, fiori, cielo. Io invece ho puntato lo sguardo su qualcosa di molto più interessante: una mucca. Ma non una mucca qualsiasi. Una Bruna Alpina. Alta, elegante, lucida come se si fosse pettinata da poco.
Mi ha guardato. Io l’ho guardata. E, senza muovere un muscolo, mi ha detto con gli occhi: “Sì, lo so. Sono bella.”
Aveva quella fierezza delle vere signore di montagna.
Non era vanità, no. Era la consapevolezza serena di chi vive bene, respira aria pulita e produce — come mi ha confidato poco dopo, con voce calma e profonda — “solo latte buono d’alpeggio, mica quelle robe industriali che scendono in pianura”.
Le ho fatto un piccolo inchino, o meglio, un mezzo scodinzolio di rispetto. Lei ha alzato il muso, guardando verso le cime. “Da qui — mi ha detto — quando l’aria è chiara, vedo le mie cugine austriache. Quelle che pascolano oltre la frontiera, con i campanacci lucidi e le montagne che sembrano fatte apposta per farsi dipingere. Ma noi, caro mio, siamo le Brune delle Dolomiti. Poche parole, tanto latte e tanto cuore.”
Mi è piaciuta. Aveva ragione da vendere.
Io l’ho ascoltata annusando l’aria, dove si mescolavano odori di fiori secchi, terra umida e vento di montagna.
Intorno a noi, il pascolo era pieno di campanacci che suonavano piano, come una musica lenta. Alcune mucche masticavano tranquille, altre riposavano con lo sguardo verso le Odle. Sembravano tutte d’accordo su una cosa: qui si vive bene, senza fretta.
Il mio umano mi ha chiamato, ma io ero troppo impegnato a guardare quel piccolo mondo ordinato e felice.
Poi la Bruna ha sbadigliato, stirandosi come un gatto. “Vai, piccolo viaggiatore — mi ha detto — e racconta pure che quassù, tra un muggito e una nuvola, la vita è semplice e buona. Ma non dire a nessuno dove pascolo, altrimenti mi riempiono la valle di selfie.”
Ho promesso di mantenere il segreto, anche se in fondo sapevo che il panorama era troppo bello per restare nascosto.
Così siamo ripartiti, seguendo un sentiero che scendeva piano verso il paese. Il sole colorava tutto di oro e silenzio.
E quando più tardi mi sono sdraiato sull’erba, stanco e felice, ho sentito ancora il suono dei campanacci nell’aria, come un sogno che non voleva finire.
Chissà se anche la mia amica Bruna, laggiù, stava pensando a me
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