Tra la fontana e il formaggio

Il Sentiero Valtellina è lungo, ma non nel senso noioso del termine. Lungo come quei sogni in cui succedono mille cose, ma ti svegli prima del finale. Noi l’abbiamo preso in un punto a caso, perché l’umano ha detto “oggi si va a respirare un po’ di natura”, e quando lui dice così io capisco che si va in missione.

Io in testa, lui dietro con la sua bici. Non quella da corsa — che gli fa male la schiena — ma quella “ibrida”, come la chiama lui, che in realtà è solo comoda e un po’ lenta. Meglio così. Altrimenti tutti i profumi mi passano sotto al naso e non ho il tempo di catalogarli.

Sul sentiero l’aria sapeva di erba tagliata, umidità della notte e qualcosa che somigliava molto al profumo dei gatti. L’umano, come al solito, non si accorgeva di niente. Ogni tanto si fermava a fare una foto, mi diceva “guarda che bello” e io fingevo interesse, anche se la bellezza — quella vera — era tutta concentrata in una traccia freschissima dietro a un cespuglio di more.

Dopo un po’ ci siamo fermati vicino a Morbegno. Io avevo già dato il meglio di me, annusando ogni cosa viva, morta o in fase intermedia. Lui si è seduto su una panchina, ha tirato fuori un panino e ha iniziato a parlare da solo come se fossimo in un documentario: “questa è la parte bella del cammino, la connessione con la terra”. Io nel frattempo ho trovato una fontanella, ho bevuto, mi sono rotolato all’ombra e stavo per dichiarare la giornata perfetta — quando è arrivato lui.

Un signore anziano, con mani grandi, giacca di lana anche se c’erano ventiquattro gradi, e soprattutto formaggio. Ne aveva un pezzetto avvolto nella carta e me l’ha offerto come se ci conoscessimo da sempre. Ha detto: “sei un bel tipo curioso”. L’ho preso come un complimento. L’umano ha riso, ha detto “è vero, non si perde niente”. E io, con la bocca piena, ho pensato che a volte gli umani, senza volerlo, dicono verità pure.

Abbiamo ripreso il cammino con un ritmo più lento. Forse per il formaggio, forse perché il sole scendeva e l’ombra si faceva più lunga. Lui pedalava piano, io controllavo che il mondo fosse ancora in ordine. Tutto regolare.

Quando ci siamo fermati per l’ultima volta, ho capito che quel tratto del sentiero me lo sarei ricordato. Non tanto per il paesaggio, o per l’acqua che scorreva tranquilla accanto a noi. Ma per quella breve parentesi tra una fontana e un pezzo di formaggio. Lì dentro c’era tutto: rispetto, silenzio, briciole di felicità.

E un odore, quello sì, che non ho ancora trovato nei libri. Ma lo riconoscerei al volo se tornasse.

 

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