La finestra che guardava il mare

C’era una volta un cane di città che si chiamava Argo.

Abitava al terzo piano di un palazzo dove l’unica cosa che si muoveva era il ventilatore del vicino.

Le sue giornate passavano tranquille: un sonnellino sul tappeto, un biscotto, una passeggiata giù al marciapiede per annusare le novità del giorno.

Finché, una mattina, il suo umano arrivò con una notizia bomba:

— Argo, si parte per le vacanze!

“Bene!” pensò lui. “Spero in montagna: prati, scoiattoli, alberi alti e profumo di muschio.”

Invece no. Dopo ore in macchina, la ruota di scorta cominciò a odorare di salsedine. E quando si fermarono, davanti c’era una casa bianca con una finestra grande, così grande che sembrava un quadro.

Argo si affacciò… e dietro la finestra c’era il mare.

Un mare vivo, che respirava e faceva shhh… splash! come un gigante addormentato.

La finestra pareva contenta.

Ogni giorno, quando Argo ci metteva il muso vicino, si gonfiava un pochino, come per fargli spazio.

“Che profumo, finestra mia!” diceva Argo.

E la finestra, se avesse potuto parlare, avrebbe risposto: “Eh, lo so… io guardo il mare da anni. E non mi sono ancora stancata.”

Una notte, con la luna piena, il mare ruggì più forte. Argo si svegliò e vide la finestra tutta bagnata.

“Stai piangendo?” le chiese.

“No,” sembrò dire lei, “è il mare che mi ha fatto l’occhiolino troppo da vicino.”

Da quel giorno, ogni mattina, Argo si metteva accanto a lei, in silenzio. Guardavano insieme onde, gabbiani e barche lontane.

E quando tornò in città, sul marciapiede grigio, chiuse gli occhi e sentì ancora quel profumo.

Perché certe finestre — e certi ricordi — continuano a guardare il mare anche quando non lo vedono più.


 

 

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