Nebbia e la chiave dei sogni

Nebbia era una maltesina tutta bianca, così bianca che a volte spariva tra le lenzuola del letto o dentro una nuvola. Viveva con un bambino di nome Tommaso, che ogni sera prima di dormire le sussurrava segreti all’orecchio, come se lei potesse portarli da qualche parte.

Una notte, Nebbia si svegliò per un rumore sottile, come di passi di piuma. Aprì gli occhi e vide che la finestra era spalancata. Dal davanzale entrava un filo di luce azzurra che tremava piano. Dentro quella luce c’era una chiave. Una piccola chiave di luna, che tintinnava come una nota di campanello.

Tommaso dormiva, con il respiro tranquillo. Nebbia saltò giù dal letto e avvicinò il naso alla chiave. Appena la sfiorò, il pavimento si trasformò in uno specchio d’acqua, e un vento gentile la sollevò come una piuma.

“Dove sto andando?” pensò Nebbia, mentre tutto intorno si accendevano stelle di zucchero filato.

Atterrò in un luogo che sembrava un giardino, ma invece dei fiori c’erano sogni: uno sognava di volare, un altro di suonare il pianoforte, un altro ancora di trovare un amico.

Un gufo con gli occhiali la guardò da sopra un ramo.

“Finalmente sei arrivata. Tu sei la custode della chiave, vero?”

Nebbia non rispose, ma scodinzolò.

“Ogni bambino ha una chiave dei sogni, ma spesso la perde. Tocca a te ricordargliela.”

Allora Nebbia prese la chiave tra i denti e corse per il giardino, aprendo i sogni uno dopo l’altro. Ogni volta che girava la chiave, nasceva una risata, un’idea, una piccola felicità. Finché arrivò davanti a un sogno grigio, tutto raggomitolato in un angolo. Era il sogno di Tommaso.

Nebbia lo aprì con un clic, e da dentro uscì una barchetta di carta che sapeva navigare anche nel buio.

Quando il sole entrò dalla finestra, Tommaso si svegliò e trovò Nebbia accanto a lui, con una barchetta di carta tra le zampe.

“Ma dove l’hai trovata?” rise il bambino.

Nebbia la spinse verso di lui e si accucciò, chiudendo gli occhi.

Da quel giorno, ogni notte Tommaso lasciava la finestra un po’ aperta. Perché, si sa, i sogni hanno bisogno d’aria per entrare.

 

 

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